Rotte del traffico di droga

LA VIA DEL PAPAVERO

L’evoluzione del traffico mondiale degli oppiacei ha avuto un andamento non sempre lineare, essendo fortemente condizionato dai mutamenti di rotta e dagli assestamenti istituzionali dei paesi produttori, ovvero dalle ingerenze di gruppi criminali internazionali nelle lucrose attività connesse.

Dal 1970 al 1975
Agli inizi degli anni Settanta, la Turchia era già tra i principali fornitori mondiali di eroina. Organizzati in gruppi e clan, i trafficanti di quel paese acquistavano l’oppio dagli agricoltori e lo raffinavano in morfina base che veniva poi spedita in Francia, perché fosse ulteriormente trasformata in eroina presso i laboratori clandestini gestiti da strutture delinquenziali site a Marsiglia (Clan dei Marsigliesi).
È l’epoca della cosiddetta “french connection” caratterizzata dalle massicce immissioni di eroina sui mercati del Nord America e dell’Europa centro-occidentale.

Dal 1975 al 1980
In questo periodo, per effetto della serrata azione repressiva condotta in Francia e negli Stati Uniti, volta ad individuare e smantellare i centri di trasformazione/raffinazione e ad arrestare trafficanti e chimici, gli illeciti traffici di eroina assumono nuove dinamiche e proporzioni anche per l’inserimento nella gestione del commercio delle mafie italiane.
Dalla metà degli anni Settanta agli inizi del decennio successivo si comincia a delineare la tristemente famosa “sicilian connection”.
L’eroina, giunta direttamente dalla Turchia, viene raffinata nei laboratori clandestini impiantati in Sicilia e, successivamente, spedita negli Stati Uniti.
Inoltre, in questa fase, a seguito degli interventi distruttivi effettuati delle autorità turche sulle coltivazioni locali di papavero, si assiste ad un progressivo spostamento del flusso di oppio grezzo che comincia ad affluire dai Paesi del “Triangolo d’oro” (Laos-Thailandia-Birmania). Esponenti delle mafie cinesi (“Triadi”) affiancano o sostituiscono i trafficanti turchi nel ruolo di intermediatori potendo vantare, già all’epoca, ramificati ed efficienti collegamenti con la Thailandia, Hong Kong, Malesia e Singapore.

Dal 1980 al 1990
Agli inizi degli anni Ottanta, i flussi di eroina diretti dall’Italia agli USA subiscono notevoli interruzioni per effetto di alcune importanti operazioni di polizia che portano all’individuazione di numerosi laboratori clandestini in Sicilia, in Calabria ed alla scoperta di aree di stoccaggio nel Nord del Paese (Verona, Trento, Bolzano, Milano e Genova).
Contemporaneamente, anche in seguito al riacutizzarsi di conflitti regionali tra Afghanistan e Pakistan che spingono i belligeranti a reperire le necessarie risorse finanziarie anche attraverso il traffico di eroina, le coltivazioni di papavero da oppio assumono carattere intensivo e le organizzazioni di trafficanti, oltre a mettere a punto processi di raffinazione più moderni e remunerativi, studiano una fitta e sicura rete di itinerari terrestri, aerei e marittimi lungo i quali incanalare alla volta dell’Occidente ingenti quantitativi di prodotto.
Verso la metà degli anni Ottanta, i duri colpi inferti a “Cosa Nostra” siciliana ed a quella americana mutano ancora lo scenario mondiale che vede ormai protagonisti i narcotrafficanti indo-pakistani. Con l’ausilio di corrieri assoldati fra i fuoriusciti dallo Sri-Lanka, iraniani e nigeriani, le organizzazioni inondano di eroina l’Europa e tutto il Nord America non curanti delle perdite loro continuamente inferte dagli apparati di sicurezza che gli Stati frettolosamente hanno incominciato a potenziare per arginare il fenomeno.

Dal 1990 ai nostri giorni
I primi anni del Novanta vedono modificarsi ancora le rotte dell’eroina verso l’Europa.
In questo arco di tempo, l’Iran e la Turchia, non più luoghi di estese coltivazioni di papavero da oppio, assurgono preminentemente al ruolo di paesi di transito privilegiati dai narcotrafficanti dei paesi del “Triangolo d’oro” (Myanmar ex Birmania, Thailandia, Laos) e della “Mezzaluna d’oro” (Afghanistan, Iran, Pakistan), leader mondiali nella produzione della sostanza.
Sul finire degli anni Novanta, la situazione torna a mutare radicalmente. Due paesi, più degli altri, s’impongono sulla scena internazionale: l’Afghanistan, che con l’eroina proveniente dalla sola zona di Kandahar assorbe il 50% dell’intera produzione mondiale, e l’Iran che, dopo aver dichiarato guerra al narcotraffico rompendo drasticamente con il passato, si è trasformato da area di produzione in paese di transito. Un “Ponte del Diavolo” disteso tra le nazioni maggiori produttrici e quelle dove più forte è la domanda di eroina, così definiscono il loro paese le autorità iraniane che negli anni Novanta scatenano una lotta senza quartiere ai trafficanti di oppio. Viene eretta una linea fortificata di oltre 1.000 chilometri lungo i confini che separano l’Iran da Pakistan e Afghanistan: fortini, posti di blocco, dispositivi e difese anticarro, canali, barriere di cemento, cavalli di Frisia e filo spinato. Oltre 22.000 soldati a vigilare che le colonne dei trafficanti non tentino di forzare i varchi fortificati.
Tanta ostilità e determinazione sospinge attualmente l’oppio afghano su nuove rotte. La via più solcata è quella che attraversa l’Asia centrale: dal territorio afghano, a bordo di camion, auto o cammelli, i carichi si dirigono verso il Kirghizistan e l’Uzbekistan, dove la mitica Samarcanda è diventata ormai il crocevia mondiale del traffico di eroina, oppure verso il Tourkmenistan, lungo il fiume Amudarya, o in direzione del Mar Caspio per finire preda delle mafie caucasiche. Dalla semisconosciuta città di Osh, nel Kirghizistan, una parte dell’eroina prende anche la via per Mosca.
La maggior parte della morfina base, comunque, continua ad approdare in Turchia che rappresenta, ancora oggi, per la sua strategica posizione geografica e per l’estesissima rete di comunicazioni terrestri, marittime ed aeree di cui è dotata, una testa di ponte verso l’Europa (“rotta balcanica”), verso l’Asia Centrale (“rotta cinese” o della “seta”) e, infine, verso il Medio Oriente.
In quest’ultimo decennio, però, le organizzazioni di trafficanti turchi, nel mirino di tutte le polizie antidroga del pianeta, tentano di rompere l’accerchiamento intessendo alleanze con altri gruppi criminali dell’Est europeo e studiando nuovi stratagemmi per far giungere i carichi di droga a destinazione. Lungo la “rotta balcanica”, in territorio bulgaro, rumeno ed ucraino, vengono creati depositi di stoccaggio in modo da favorire l’apertura di nuovi canali di instradamento dell’eroina verso i Paesi occidentali, mentre emissari turchi instaurano rapporti di cooperazione con organizzazioni polacche e libanesi, incaricate esclusivamente delle operazioni di importazione della droga. L’eroina è fatta affluire in Polonia, in Ungheria o nel vicino Oriente a bordo di autoveicoli di grandi dimensioni, e successivamente frazionata in piccoli quantitativi affidati ai numerosi corrieri che provvedono a farla giungere in Europa, Stati Uniti e Canada prevalentemente via terra, occultata nei doppifondi di auto e furgoni, ma anche per via aerea, più raramente per nave.
Parallelamente alla “rotta balcanica” è aperta una via “marittima”, con partenza dal porto di Smirne (Turchia), che tocca Grecia, Italia meridionale, Spagna e Francia.
Terminale italiano di questo commercio illecito è principalmente la città di Milano o le zone del suo hinterland.
Nel triennio scorso si registrano ancora dei sussulti: emergono dalle macerie fumanti della ex Iugoslavia agguerritissimi sodalizi criminali di etnia croata, macedone ed albanese capaci anche di stabilire relazioni stabili con gli immancabili trafficanti turchi. Approfittando dei flussi migratori, la criminalità albanese e kosovara interessata agli enormi profitti del traffico di droga, opera una forte penetrazione verso l’Italia e gli altri paesi del Mediterraneo insediandosi sul territorio con strutture delinquenziali a base familiare che gestiscono le diverse fasi del traffico: dall’importazione a bordo di camion alla fase della distribuzione, in cui i criminali slavi si avvalgono della collaborazione di cittadini nordafricani e pregiudicati italiani.
Gli anni Novanta si caratterizzano anche per l’apertura di altro importante canale di traffico: quello che parte dal Myanmar (ex Birmania) per rifornire gli Usa e l’Australia tramite i terminali di Chiang Mai in Thailandia, e Hong Kong. Una parte dell’eroina s’instrada lungo la mitica “Via della Seta” e va ad approvvigionare il mercato cinese. È gestito per lo più dalla mafia nigeriana, che usa la capitale Lagos come “transit point” tra i quattro continenti: America, Africa, Asia e Europa. Recentemente vengono sempre più coinvolti nel traffico internazionale di eroina proprio i Paesi africani, quelli della fascia più a nord (Marocco, Algeria, Tunisia) oltre che del Centro Africa, principalmente la Tanzania, il Kenia e la citata Nigeria.
Anche negli Stati Uniti, l’ultimo decennio del secolo registra un radicale mutamento della scena: l’offerta di eroina subisce un incremento del 300%, dovuto essenzialmente all’apertura di nuovi canali di immissione riforniti dall’oppio prodotto da alcune regioni della Bolivia, Colombia, Guatemala, Perù e, soprattutto, del Messico in cui, nel frattempo, sono sorte vaste coltivazioni di papavero d’oppio, che affiancano la più tradizionale produzione della coca. Gli ingenti quantitativi di oppio ottenuti dalle nuove coltivazioni sottraggono progressivamente consistenti quote di mercato alle organizzazioni criminali che fino ad allora avevano gestito l’importazione di eroina asiatica (triadi) e l’attività di smercio (mafia italiana), ridimensionandone peso, ruolo ed influenza criminale a vantaggio di emergenti gruppi delinquenziali.
Attualmente, la maggior parte del consumo statunitense di eroina è alimentato dalla produzione messicana ed i trafficanti dei paesi di Villa e Zapata hanno soppiantato nella conduzione e nella gestione del traffico boss e vecchi padrini.

LA VIA DELLA CANNABIS
(marijuana e hashish)

In Europa la maggior parte dei derivati della cannabis (marijuana e hashish) intercettata dalle forze di polizia nel corso degli ultimi anni è risultata provenire dall’Africa (Marocco e Nigeria), dall’America del Sud (Colombia) e dall’Asia (Pakistan).
Nel corso del 1999, il volume dei sequestri ha raggiunto la quota di 1475 tonnellate evidenziando un dato di sicuro riferimento nella stima dell’estensione e della portata di questo fenomeno criminale che interessa ormai sia l’Ovest che l’Est europeo.
Molto diverse le direttrici di afflusso sui mercati di consumo europei: dalla Nigeria ai Paesi Bassi; dall’Uganda alla Bulgaria per raggiungere poi la Repubblica Slovacca; dalla Spagna al Regno Unito; dal Libano ai Paesi Bassi ed ancora al Regno Unito; dalla Colombia all’Olanda ed alla Polonia; dal Mozambico al Belgio; dai Paesi Bassi alla Repubblica Ceca. La droga, proveniente dalla consuete zone di produzione, è instradata principalmente lungo le rotte marittime e le arterie stradali a bordo di carghi ovvero in containers montati su semoventi, rimorchi ed autoarticolati.
Nella graduatoria dei Paesi europei “recettori” di questa sostanza figurano ai primi posti, nell’ordine: l’Olanda, la Spagna, l’Italia, la Turchia, il Portogallo, il Regno Unito, la Francia, il Belgio, e la Romania. Ma questi stati, oltre ad assorbire quote ingenti di prodotto per il proprio consumo interno, in ragione anche delle favorevoli e strategiche posizioni geografiche, rappresentano con Russia, Bielorussia, Ucraina, Croazia, Ungheria e Polonia dei “transit point” per le successive movimentazioni verso altre zone del continente europeo.

LA VIA DELLA COCA

Il traffico che ha per oggetto la cocaina cloridrato presenta minore complessità rispetto a quello di oppiacei per l’agevole individuazione delle zone di produzione circoscritte ad alcune, ben definite, aree geografiche.
L’erythroxylon coca, dalle cui foglie si estrae la cocaina, cresce spontaneamente tra i 700 e i 2000 metri di altitudine alle pendici andine dell’America meridionale (in Ecuador, Colombia, Bolivia, Perù, Cile e Brasile). Si coltiva anche a Ceylon e a Giava.
Attraverso le cosiddette “rotta atlantica” (Venezuela-Colombia-Brasile-Argentina) e “rotta latino-americana” (Bolivia-Perù-Ecuador-Argentina-Paraguay-Canada), la cocaina proveniente dai Paesi produttori, occultata nelle forme e nei modi più stravaganti, varca l’oceano verso l’Europa ed ogni altra parte del mondo ovvero prende la direzione dell’America del Nord.
Oggi dai Paesi produttori, la cocaina non attraversa più le frontiere degli Stati del Centro America e, in particolare, Panama. La droga viene ammassata in depositi brasiliani situati nella zona di Caracas e, successivamente, spedita in transito attraverso le isole dei Caraibi (Aruba, Curacao, Portorico) con destinazione Miami e Los Angeles, per essere poi smistata in ogni parte degli Stati Uniti.
Più recentemente, le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico internazionale di questa sostanza, hanno costituito vaste aree di stoccaggio, oltre che nell’America del sud, anche in paesi africani come la Nigeria. Da qui, a bordo di navi commerciali o servendosi di corrieri (spesso “ingoiatori” che coprono l’ultima parte del tragitto in aereo), i networks criminali internazionali fanno pervenire la droga nei luoghi di smercio e consumo dell’Occidente e dell’Est europeo, mercato quest’ultimo in progressiva ed inarrestabile espansione.
Proprio l’incremento delle forniture verso i paesi dell’Est e quelli dell’Est asiatico rappresenta l’ulteriore sviluppo nella dinamica del narcotraffico: i cartelli colombiani e Sud americani, la cui spinta produttiva è senz’altro superiore al fabbisogno mondiale, dopo aver raggiunto il punto di saturazione dei mercati clandestini Nord americani, hanno deciso di instradare il loro prodotto verso i paesi d’oltrecortina e quelli in via di sviluppo, dove il crollo di alcuni sistemi politici e la rimozione dei blocchi alle frontiere ha consentito di importare, oltre alle merci, standard e modelli di vita “occidentali” nei quali è purtroppo insito e radicato il fenomeno del consumo di droga.
Il trend dei sequestri, in costante ed inarrestabile ascesa a partire dagli anni Ottanta, superando di gran lunga quello dei sequestri di eroina, porta ad ipotizzare che, attualmente, la cocaina sia la sostanza d’abuso più diffusa, ricercata e consumata del mondo.

LA VIA DELL’ECTASY

Secondo il Consiglio d’Europa, gli entactogeni rappresentano la droga più popolare in Europa dopo la “cannabis” nella fascia d’età compresa fra i 15 e 25 anni. Ma, in base alle stime ufficiali sulla crescente disponibilità di droghe sintetiche sul mercato clandestino, si ritiene che l’ecstasy e le “ecstasy like”, gli omologhi di sintesi cosiddetti “designer drugs”, siano ancor più diffuse tra i giovani di quanto non possa essere documentato.
Sul versante della produzione e della distribuzione, i dati in possesso della D.E.A. sembrano delineare una nuova mappa del traffico.
Leader mondiale nella produzione e nella fornitura di questo tipo di stupefacente sintetico è l’Olanda; seguono Belgio, Inghilterra, Germania e Svezia nonché, tra i Paesi dell’Est, Polonia e Cecoslovacchia. La produzione olandese è concentrata nella regione sudorientale dei Paesi Bassi, vicino a Maastricht, dove decine di laboratori clandestini producono, con sistemi e tecnologie industriali, milioni di pasticche che prendono le direzioni di tutta Europa. A queste si aggiungono le rilevanti partite che il paese dei tulipani importa dall’Est Europa per smistarle, a sua volta, verso i mercati clandestini di ogni parte del mondo attraverso il porto di Rotterdam e l’aeroporto di Amsterdam. Sembra che anche i trafficanti americani, sospinti dalle allettanti prospettive di guadagno, abbiano cominciato ad approvvigionarsi di droga sintetica sul rifornitissimo mercato olandese.
Centri di produzione clandestini di notevole importanza sono segnalati anche nel Regno Unito e, soprattutto in Germania dove, nel corso del 2000, la Polizia (BKA) ha individuato e smantellato un gran numero di laboratori per la sintesi della metamfetamina.
Su scala mondiale, la produzione maggiore si ha negli Stati dell’Estremo Oriente ed, in particolar modo, in Cina e Thailandia dove, nel 2000, si sono registrati rispettivamente sequestri di amfetamine ed ecstasy per oltre 951 e 1600 kg. L’Australia ha un consumo di ecstasy pari a quello delle Filippine (circa 340 kg) e leggermente superiore a quello del Giappone, paese in cui il fenomeno dell’abuso di droghe sintetiche ha carattere endemico.
Tra i paesi terminali del traffico svettano sugli altri l’Inghilterra, cui si deve l’esplosione del fenomeno techno (500.000 consumatori per settimana) e la Spagna che si colloca per consumi al secondo posto in Europa e al primo nel bacino del Mediterraneo; segue al terzo posto la Germania dove i sequestri hanno subito un incremento esponenziale (226%), direttamente proporzionale alla diffusione della cultura techno e degli eventi musicali connessi (love parade). È tale l’impennata del consumo in questo stato che in Olanda, in prossimità della frontiera con la Germania, sono stati recentemente impiantati piccoli laboratori clandestini destinati a produrre ecstasy quasi esclusivamente per il mercato tedesco.
In Irlanda, dove la presenza di metamfetamina è segnalata fin dal 1988, sembra che il circuito di spaccio, capillare e sommerso, sia gestito da un sempre maggiore numero di persone che fanno pervenire le partite più consistenti dall’Irlanda del Nord e dall’Inghilterra. Anche in Croazia, il fenomeno è conosciuto dal 1991. Non è raro neppure in Islanda dove il prezzo delle pasticche è però molto elevato.
In Spagna, l’MDMA è importata da piccoli trafficanti raramente organizzati che trasportano la merce a bordo di auto e camion attraverso il Belgio e la Francia. Quest’ultima, infine, è soprattutto luogo di transito per lo stupefacente che, provenendo dai siti clandestini di produzione, attraversa il paese in direzione della Gran Bretagna, della Spagna e dell’Italia. Solo il 35% del prodotto è destinato al mercato illecito nazionale.
Il flusso destinato all’Italia, dove nel solo 2000 sono state sequestrate oltre 954.000 pasticche con un incremento del 198% rispetto l’anno precedente, non viaggia unicamente sulla direttrice francese, ma anche attraverso la frontiera con l’Austria e con la Svizzera.
I riscontri effettuati dalla D.C.S.A., l’organo di coordinamento interforze nell’azione di contrasto al fenomeno del narcotraffico, consentono di affermare che attualmente le pasticche di ecstasy introdotte in Italia provengono essenzialmente dall’Olanda. Il costante rifornimento è assicurato da un cospicuo numero di corrieri che fanno la spola tra il nostro paese e i luoghi di produzione in territorio olandese. La prospettiva di enormi guadagni (una pasticca in origine costa non più di 0.75 €, e può essere rivenduta in discoteca anche a 20 €) e la scarsa deterrenza del rischio d’essere individuati dalle forze di polizia, inducono giovani spesso incensurati ad intraprendere il progetto criminoso. Formata la “cordata”, cioè convogliate ragguardevoli somme di denaro in vista di un unico più consistente acquisto per lucrare presso i fornitori un prezzo più basso, alcuni membri del sodalizio provvedono a noleggiare un’auto, mentre altri pensano a reclutare per pochi milioni un insospettabile corriere che provveda ad effettuare il trasporto.
È sufficiente stabilire un contatto “sicuro” con uno dei tanti intermediari e procacciatori di questo tipo di affari sulla piazza di Amsterdam, e presentarsi con del denaro contante in valuta pregiata, per ottenere quantità illimitate di prodotto. Occultate le pasticche appena acquistate in ingegnosi doppifondi ricavati nella carrozzeria dell’auto presa a noleggio, inizia il viaggio di trasferimento in Italia con il “carico” . Gli artefici del traffico sanno purtroppo che non incontreranno invalicabili ostacoli lungo il percorso che li ricondurrà in Italia con lo stupefacente, soprattutto transitando sul territorio comunitario, ormai privo di controlli ai varchi di frontiera, ovvero decidendo di effettuare l’importazione a bordo di un treno o per il tramite dei servizi postali e dei vettori privati del tipo “DHL”.
Appena giunte in Italia, le pasticche vengono smistate tra quanti avevano finanziato la trasferta, a loro volta, pronti a riversarle, dietro versamento del prezzo, in una capillare e ramificata rete di frazionamento ed assorbimento delle partite ad opera di gregari e galoppini, per lo più anonimi ed insospettabili. Proseguendo nella staffetta dello smercio, neppure i “pusher” incontrano particolari difficoltà nella vendita delle pasticche, attività che frutta loro profitti molto elevati oscillanti tra il 700 ed il 1000%. La domanda è talmente consistente che i primi acquirenti, per coprire le spese connesse al proprio consumo, trovano vantaggioso rivendere ad altri consumatori una parte delle pasticche acquistate, dando così vita ad ulteriori cessioni di stupefacente in un’impressionante progressione esponenziale. Lo smaltimento del carico finisce dunque per coinvolgere, con effetto a “scalare”, decine di persone che, seppure consumatori di MDMA ne sono anche spacciatori, pertanto potenzialmente punibili con le pene previste dal primo comma dell’art. 73 del D.P.R. 309/90, solo in parte mitigato, in qualche caso, dall’attenuante della “lieve entità”, prevista dal comma 5.

La ricostruzione di queste dinamiche criminali è confermata dal notevole incremento del numero di persone denunciate: dalle poche decine di persone segnalate all’Autorità Giudiziaria nel 1990 per reati connessi all’uso di droghe sintetiche, si passa agli oltre 1300 arrestati del 1994.
Viva è, inoltre, negli investigatori la percezione di un progressivo interessamento alla gestione del redditizio traffico di queste sostanze di entità e sodalizi criminali – anche organizzati – che individuano ovviamente in esso una illimitata e appetibile fonte d’ingenti guadagni. Infatti, al contrario delle droghe tradizionali, che necessitano di particolari processi di lavorazione, quelle di sintesi si possono produrre con relativa facilità in laboratori non molto sofisticati, partendo da sostanze facilmente reperibili e non soggette a particolari controlli. Nel Belpaese, nonostante alcuni allarmanti segnali inducano a credere che ciò potrebbe avvenire a breve, non sembra ancora entrato nel traffico delle sostanze di sintesi il crimine organizzato.